LA VERA STORIA DEL
GWCI 1989 -
GOLD WING CLUB ITALIA
a cura di Ernesto TRAZZI
Socio fondatore
Tratto dal Gold Rider n. 4 Luglio/Agosto 1999
(con alcuni adattamenti da parte dell’autore)

Recentemente, mentre stavo riordinando alcuni cassetti pieni di quelle
cianfrusaglie che si portano a casa dai viaggi e dai raduni, mi è
capitata tra le mani una piccola rubrica nera risalente ad alcuni anni
fa che riportava l’elenco degli iscritti al Gold Wing Club Italia a
quella data.
Incuriosito ho cominciato a sfogliarla e con un certo stupore mi sono
reso conto che, pur essendo stato uno dei protagonisti della nascita
del club, delle centinaia di iscritti ne conosco solo alcune decine
mentre una volta li conoscevo praticamente tutti.
Ciò dipende dal fatto che la mia partecipazione ai raduni di carattere
locale e alle strutture organizzative del club, tranne alcuni periodi
come vice presidente e consigliere, è sempre stata molto limitata
avendo sempre riservato il tempo libero a viaggi e raduni all’estero
e, soprattutto, all’enorme sviluppo del club che è passato dalle poche
decine di iscritti dei
primi anni alle centinaia attuali, con un turn over molto spinto che
fatto si che del nucleo originario dei 30/40 soci, oggi ne siano
rimasti veramente pochi, da poterli contare sulle dita di una mano.
Questo cambio generazionale, è indubbiamente molto positivo in quanto
evidenzia una notevole dinamicità, d’altro canto determina una
conoscenza vaga da parte dei soci di recente iscrizione della storia
del nostro club.
Infatti spesso mi è capitato di sentire e di leggere affermazioni
quanto meno fantasiose sulle origini del GWCI. Ritengo invece che la
storia di un club che ha ormai 20 anni di vita e che coinvolge circa
800 soci iscritti debba essere conosciuta da tutti i soci per evitare
equivoci.
Introdotta in Italia nelle seconda metà degli anni 70 la Goldwing 1000
non ebbe successo e la sua diffusione fu molto limitata proprio presso
quella fascia di potenziali clienti, i motociclisti amanti delle
lunghe distanze, per i quali era stata concepita.
Infatti mentre negli USA furono apprezzati i lati positivi di questa
moto quali lo schema tecnico innovativo (quattro cilindri boxer
raffreddato a liquido con trasmissione finale ad albero) e il confort
di marcia (scarse vibrazioni e silenziosità) in Italia, invece
risaltarono soprattutto i lati negativi quali gli elevati costi
d’acquisto e di gestione, l’autonomia limitata, peso notevole e scarsa
maneggevolezza, freni e tenuta di strana non impeccabili.
Questa disparità di valutazione era chiaramente influenzata dalle
diversità ambientali con cui dovevano confrontarsi i motociclisti
americani - strada larghe e prevalentemente pianeggianti, lunghi
rettilinei, traffico scorrevole, rigidi limiti di velocità - e
italiani - strade strette e intasate di veicoli, prevalenza di
percorsi misti, assenza di rigidi limiti di velocità, costo elevato
del carburante e dei pedaggi autostradali; inoltre i motociclisti
nostrani quando uscivano dai confini nazionali dovevano fare i conti
con una viabilità che a livello europeo lasciava molto a desiderare,
infatti gli unici paesi dotati di reti autostradali erano l’Italia e
la Germania Ovest. In Francia e in Inghilterra esistevano solo dei
brevi tratti autostradali e le statali erano con fondo irregolare,
pericoloso in caso di pioggia e di guida notturna, per non parlare
della Spagna, del Portogallo e della Grecia con strade veramente
indecenti
|
Un capitolo a parte
erano i paesi dell’Est dove anche le terribili condizioni delle strade
contribuivano a fare di ogni viaggio oltre cortina un’avventura.
Valicare le Alpi in Svizzera e in Austria, dove non erano ancora stati
approntati i tunnel e le autostrade, non era così agevole come oggi,
basti pensare che per andare a Basilea o Zurigo da Milano bisognava
valicare il passo del S. Gottardo o in alternativa il S. Bernardino.
In questo panorama le regine incontrastate delle moto gran turismo
erano le bicilindriche Guzzi e BMW, di peso contenuto e maneggevoli,
dotate di ottima tenuta di strada e buon sistema di frenata con una
notevole autonomia grazie ai bassi consumi, particolarmente adatte ai
lunghi viaggi su percorsi misti e con fondi stradali irregolari.
Altri fattori che giocarono a sfavore della Gold Wing furono
l’immagine di moto sportive delle super prestazioni che connotavano a
quell’epoca le moto giapponesi e la scarsa efficienza della rete di
assistenza Honda, che rendeva difficile reperire anche i più banali
pezzi di ricambio (problema inesistente per Guzzi e BMW).
Bisogna poi considerare che la Guzzi SP e la BMW RS o RT erano
carenate di serie e con la semplice applicazione delle borse Krauser
erano già pronte per i viaggi, mentre la GL 1000 era nuda e, a
differenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra dove erano facilmente
reperibili carenature e kit di borse e bauletto perfettamente
adattabili a questa moto, come ad esempio le Vetter, in Italia non era
disponibile nessun accessorio specifico.
All’inizio degli anni ottanta in Europa cominciò a farsi notare la
Gold Wing Gl100 carenata, con borse e baule, sellone a due piani e
frizione idraulica, che rappresentava un netto superamento della
vecchia 1000 abbinando alle peculiarità tecniche del propulsore un
equipaggiamento da super tourer.
Il mio amico Gianni Barbieri, da sempre Bmwista, al ritorno da un
coast to coast negli USA, entusiasta di questa moto che aveva visto
viaggiare sulle interstate ne acquistò una nell’autunno dell’81 e io,
da sempre Guzzista, lo seguii in questa scelta pochi mesi dopo; dopo
l’Elefantentreffen a cui partecipai con la moto vecchia
(prudentemente).
In poco tempo apprezzammo i lati positivi del mezzo, quali la
morbidezza della frizione e della trasmissione ad albero, la
carenatura protettiva, la sella comoda, la scarsità di vibrazioni, la
silenziosità, l’affidabilità della meccanica (partecipammo anche a
delle competizioni stradali a coppie di 24 ore, contemporaneamente
toccammo con mano anche i lati negativi: la scarsa maneggevolezza
dovuto al peso elevato e alla notevole massa, l’allungamento degli
spazi di frenata e i consumi elevati che riducevano l’autonomia.
Tutto questo ci costrinse a modificare drasticamente lo stile di guida
per renderlo più consono alle caratteristiche della moto, in altre
parole imparammo ad andare più piano.
Anche la diffusione di questo modello fu limitata in occasione dei più
importanti raduni FMI non era difficile incontrare altre Goldwing.
La GL1100 era una moto che si distingueva dalle altre e presso le
folle suscitava ammirazione per la sua imponenza ed eleganza, mentre
presso gli altri motociclisti spesso provocava commenti e battute
ironiche tipo: “è una 1100 che costa come una 1600, va come una 750 e
consuma come un 2000” evidenziando un rapporto difficile tra la
Goldwing e i motociclisti nostrani caratterizzato da un misto di amore
e odio e di “vorrei ma non posso”.
Questa moto così diversa smitizzava anche certi luoghi comuni come i
moscerini spiaccicati sulla parte anteriore del barbour e gli elastici
con i famigerati ganci metallici sul portapacchi che identificavano i
“duri e puri” fedelissimi delle vibrazioni, delle perdite d’olio,
delle lampadine bruciate, delle frizioni dure e dei cardani rigidi.
Il 4
settembre 1982, io e Gianni Barbieri, appena tornati da due
lunghi viaggi effettuati nel mese di agosto in sella alle nostre
GL 1100, ci recammo al raduno internazionale FMI di Spinea dove
conoscemmo altri due possessori di questo modello di moto, i
fratelli Giorgio e Paolo Barbieri di Bologna (solo omonimi di
Gianni) che ci mostrarono un volantino ciclostilato avuto da un
belga, anch’esso su GW, che presentava un raduno internazionale
riservato ai possessori di GW che si sarebbe svolto il successivo
week-end a Le Pouyloubier, un paesino della Provenza vicino a Ste
Maximine, organizzato non dal solito moto club affiliato alla
federazione motociclistica, ma da uno sconosciuto Gold Driver Club
de France.
La cosa ci sorprese perché, nonostante da molti anni
partecipassimo ai più importanti raduni in Europa, non avevamo mai
sentito parlare di raduni riservati ai possessori di Goldwing, ma
nello stesso tempo ci incuriosì in modo tale da decidere di
partecipare.
Il giovedì successivo partimmo da Milano e dopo una veloce tirata
in autostrada arrivammo a destinazione dove incontrammo Paolo
Barbieri e insieme cominciammo a fare conoscenza con lo
sconosciuto mondo Goldwing.
L’impatto fu entusiasmante perché, per la prima volta, si potevano
vedere in un colpo solo circa duecento GW, quanti se ne sarebbero
visti in 5 anni in Italia, e le moto, provenienti dai vari paesi
europei, che avrebbero dovuto essere uguali tra di loro, in realtà
erano tutte diverse perché personalizzate secondo i gusti
dell’epoca: i 1000 erano tutti carenati e dotati di borse e
bauletti prevalentemente di provenienza Harley Davidson,
arricchiti con accessori cromati, fari e fanalini di vari colori,
pedane supplementari, portalattine appesi al manubrio ed altri
ammennicoli tipo selle in cuoio riccamente intarsiate,
poggiaschiena, autoradio, CB con relativi altoparlanti e antenne.
Spesso il risultato di questi assemblaggi era discutibile sul
piano del buon gusto mentre i 1100, potendo contare su una base
esteticamente più armoniosa, anch’essi riccamente dotati di pezzi
cromati e lampadine varie, generalmente erano più belli,
soprattutto alcuni dipinti con soggetti spaziali o western.
Le nostre moto, strettamente di serie, con l’unica aggiunta della
radio mangianastri e relativa antenna, in questo contesto
sembravano delle moto diverse, quasi cecoslovacche, e allora,
suggestionati dall’ambiente, acquistammo anche noi dei pezzi
cromati approfittando della presenza dei soliti banchetti che poi
nel corso degli anni avremmo sempre ritrovato a tutti i raduni.
Passammo il venerdì a fotografare le moto, alcune erano dotate di
sidecar, altre di rimorchio, e a fare conoscenza con i convenuti
contemporaneamente sorpresi e contenti di vedere per la prima
volta degli italiani a un raduno Goldwing.
Ci raccontarono che in molti paesi del centro nord Europa ormai da
qualche anno erano attivi dei Gold Wing Club nazionali che
organizzavano dei raduni riservati ai possessori GW secondo un
calendario che prevedeva un raduno all’anno in ogni paese dove
esisteva un Gold Wing Club.
Il giorno seguente, sabato, partimmo in gruppo per la “grande
balade” che, attraversando l’entroterra di Tolone, ci portò al
circuito “Paul Ricard” al Castellet dov’era in programma il Bol
d’Or.
In quegli anni le gare di endurance entusiasmavano così come oggi
le gare di superbikers, e il Bol d’Or equivalente alla 24 ore di
Le Mans automobilistica, era l’appuntamento più prestigioso.
Prima dell’inizio della gara, con le tribune affollate di oltre
centomila motards scatenati, i Goldwing schierati in duplice fila
e raggruppati per gruppi nazionali preceduti dalle rispettive
bandiere percorsero due giri di pista tra gli applausi della
folla.
Ricordo con piacere che il nostro gruppetto e la nostra bandiera
raccolsero gli applausi entusiasti soprattutto dagli irriducibili
sostenitori delle bicilindriche Guzzi e Ducati ufficiali che
osavano sfidare le imbattibile quattro cilindri giapponesi.
Al momento di uscire dalla pista, all’altezza della linea del
traguardo sul rettilineo d’arrivo, l’ultima moto del gruppo
tedesco che ci precedeva di qualche metro nel compiere una curva a
90° per imboccare il cancelletto d’uscita, a causa della bassa
velocità si inclinò di colpo e si rovesciò rovinosamente
travolgendo la conduttrice e la passeggera scatenando l’ilarità
delle migliaia di spettatori sulle tribune.
Ritornati alla sede del raduno partecipammo alla festa del sabato
sera, ricevemmo un premio speciale per la nostra partecipazione, e
al termine ormai di questo insolito week-end ci ponemmo la
fatidica domanda.
“E’ possibile che in Italia, per definizione il paese della moto,
dove si organizzano i raduni più belli d’Europa, dove ci sono
motociclisti che fanno man bassa di premi e trofei in tutte le
manifestazioni moto turistiche internazionali, non esista un Gold
Wing Club? Con questo interrogativo in testa tornammo a casa e
dato che la stagione stava ormai volgendo al termine ci
ripromettemmo di approfondire la conoscenza della galassia
Goldwing l'anno successivo.
All’inizio di luglio del 1983
al raduno del Gold Wing Club svizzero a Chur ci ritrovammo in
quattro, i tre dell’anno precedente più Giorgio Barbieri.
Successivamente si unì a noi una coppia di Modena in viaggio
di nozze che, imbattutasi casualmente nella lunga colonna di
Goldwings che stavano tornado da un giro turistico, decise di
passare due giorni in nostra compagnia.
In questa occasione ci rendemmo definitivamente conto delle
dimensioni che stava assumendo all’estero il movimento dei
Gold Wing Club: la sede del raduno era presso un centro
polifunzionale della protezione civile, organizzatissimo ed
efficiente, dove anche i particolari minimi erano curati alla
perfezione da un numero veramente notevole di addetti.
Un episodio emblematico; nella mattinata del sabato, in
previsione della sfilata delle nazioni del pomeriggio, ad ogni
conduttore venne consegnato un foglietto con le disposizioni
in tre lingue su come posizionarsi nel corteo, il tutto
completato da uno schizzo esplicativo.
Questo particolare ci fece riflettere e ci portò alla
conclusione che l’efficienza organizzativa non era dovuta solo
alla pignoleria degli svizzeri, ma era una caratteristica dei
circuito dei raduni Goldwing che, apprendemmo, era gestito e
coordinato dalla neonata GWEF (Gold Wing European Federation)
che di conseguenza sarebbe stato il nostro interlocutore
qualora avessimo deciso di costituire il Gold Wing Club Italia
e successivamente organizzare un raduno in Italia.
Dai primi approcci con esponenti della GWEF emerse che
l’ipotesi di inserire l’Italia tra le nazioni iscritte era
vista molto favorevolmente, anzi erano sorpresi che l’Italia
non ne facesse ancora parte; era quindi necessario costituire
il Gold Wing Club Italia che per il primo anno sarebbe stato
associato in forma ufficiosa per poi accedere all’affiliazione
definitiva l’anno successivo.
Riguardo la possibilità di organizzare un raduno in Italia ci
fu data la disponibilità per un raduno ufficioso, non inserito
nel calendario della GWEF, da effettuarsi nell’estate del
1984.
A questo punto sapevamo cosa bisognava fare: chi raccolse la
patata bollente? Gianni Barbieri è stato il promotore e
l’artefice in prima persona di tutto quanto si fece per
raggiungere gli obiettivi prefissati: contattare il maggior
numero possibile di possessori GW, reclutare i soci,
costituire il Gold Wing Club Italia, curare i rapporti con la
GWEF, organizzare e promuovere le prime partecipazioni del
GWCI ai raduni internazionali, organizzare il 1° raduno in
Italia.
Aveva le caratteristiche necessarie per riuscire in questa
impresa perché abbinava ad una notevole esperienza di
motociclista e di organizzatore di viaggi e di raduni una dote
fondamentale per ottenere il coinvolgimento di altre persone,
era un trascinatore.
Subito dopo il rientro dal raduno svizzero ci impegnammo a
contattare tutti i possessori di Goldwing che incontravamo ai
raduni settimanali della FMI, sondando anche il loro interesse
nei confronti del progetto.
Conseguentemente si attivò un passaparola che portò
nell’inverno 83/84 alla stesura di un primo elenco di una
quarantina di soci; successivamente fu fondato il Gold Wing
Club Italia, fu redatto uno statuto, e a raduno di Pasqua in
Belgio fu presentata l’iscrizione alla GWEF.
Dopo la costituzione del club si passò alla fase successiva
che consisteva nel far conoscere la nuova realtà italiana
all’estero anche per pubblicizzare il 1° raduno italiano
previsto ai primi di settembre al Lido di Jesolo. (Camping
Malibù).
Tra gli iscritti, che già allora comprendevano diverse
tipologie di personaggi (i viaggiatori esperti, i neofiti, gli
esibizionisti) tutti comunque accomunati dalla passione per la
Goldwing, si distinse un gruppo molto attivo che partecipò ai
raduni all’estero consentendo al neo costituito GWCI di
debuttare facendo bella figura: la nostra presenza fu numerosa
in Francia a Ste Maries de la Mer, in Austria a Zell am See e
in Inghilterra a Malvern,
All’estero fummo sempre accolti con simpatia e cordialità e
nell’ambito di queste partecipazioni ai raduni internazionali
si stabilirono dei rapporti di amicizia con molti stranieri
che durano tuttora.
Finalmente venne anche il giorno più atteso, quello del nostro
raduno, i partecipanti furono circa novanta, metà italiani e
metà stranieri.
Si effettuarono delle escursioni a Venezia e in laguna, fu
coniata una medaglia che riportava anche il marchio della GWEF,
e tutto filò liscio,
Conclusa la stazione 1984, quella del debutto, fu organizzata
una segreteria, si realizzò un logo, un aquilotto stilizato,
delle magliette con l’aquilotto in sella ad un GL 1200 (nuovo
modello che sostituiva la 1100) molto apprezzate all’estero:
ancora oggi capita di vederle indossate da stranieri.
Si cominciò a pubblicare un
notiziario dei soci.
Il punto dolente era costituito dal numero esiguo dei soci
e quindi si organizzarono dei mini raduni a carattere
locale, si pubblicarono annunci e trafiletti sulle riviste
motociclistiche, si cominciò a coinvolgere la Honda
Italia; con queste iniziative il numero degli iscritti
aumentò gradualmente e anche la nostra presenza ai raduni
europei si consolidò e il GWCI fu presente in tutte le
classifiche per nazioni, ottenendo anche dei piazzamenti
prestigiosi.
L’articolazione dei raduni della GWEF su un arco di tempo
di 6 mesi, da aprile a settembre, con un raduno ogni 2/3
settimane, consentiva già allora di pianificare sia viaggi
brevi nell’ambito di un week-end sia abbinamenti con le
ferie per viaggi più impegnativi.
Questa ampia possibilità di scelta favorì la formazione di
un gruppo di entusiasti che di volta in volta, a seconda
delle proprie esigenza, sceglievano i raduni a cui
partecipare.
Per fare un esempio a fine luglio del 1985 con Giorgio
Barbieri mi aggregai ad un gruppo abbastanza numeroso
diretto al raduno danese di Silkeborg; al termine del
raduno noi due e una coppia di Livorno, diretta poi a capo
nord, ci recammo in Svezia dove il successivo fine
settimana era in programma un raduno nazionale svedese a
Jonkoping, finito il quale ci trasferimmo a Berlino est
con qualche problema nell’attraversare il famoso muro;
tutto comunque andò bene e addirittura a Giorgio fu
rilasciata una carta d’identità della DDR dopo essere
stato prelevato e interrogato dalla polizia di frontiera
della Germania est.
In seguito, una volta tornati in Germania ovest ci
salutammo: Giorgio tornò a Bologna ed io mi diressi verso
Shepton Mallet, un paesino a sud ovest dell’Inghilterra,
sede del raduno inglese, attraversando orizzontalmente
mezza Europa.
Raggiunsi la meta con una tappa sola di oltre 1500 km.,
con l’unica interruzione dovuta alla traversata della
Manica, ed era in queste circostanze che la Goldwing dava
il meglio di sé, instancabile nel mantenere medie elevate
nei veloci trasferimenti autostradali e nello stesso tempo
così confortevole da consentire di viaggiare per ore e ore
senza soste, se non per i rifornimenti di benzina.
Inoltre si verificò un effetto di trascinamento in quei
soci che non avevano esperienza di viaggi all’estero e che
erano frenati da vari motivi tra cui la non conoscenza
delle lingue, delle abitudini, dei cibi, ma che coinvolti
nell’euforia dell’ambiente si buttarono nella mischia e
spesso capitava di vedere ai raduni all’estero delle facce
nuove che non facevano parte del solito gruppetto e che
inevitabilmente diventavano i migliori clienti dei
venditori di pezzi cromati.
Purtroppo, quando il club stava crescendo e stava
allargando la base degli iscritti, localizzati
prevalentemente in Lombardia, Piemonte, Liguria e Emilia,
si verificarono degli incidenti di percorso che influirono
negativamente sull’immagine del Club compromettendone lo
sviluppo e la credulità.
Infatti nel giro di pochi mesi si verificò una serie di
episodi negativi che diedero origine a polemiche, litigi e
contestazioni: in occasione del Gran Premio d’Italia a
Misano i Goldwing, invitati a sfilare in pista prima delle
corse, furono accolti da fischi ed insulti da parte del
pubblico imbestialito per il forfait all’ultimo minuto del
super campione Freddy Spencer. Sulla rivista Motosprint
apparve un articolo che, contrariamente a quanto
concordato, non solo non promuoveva l’immagine del club,
ma lo descriveva come un club di ricchi scemi.
A Riccione tutti i soci furono invitati a cena dalla Honda
Italia (questo fu detto a tutti i presenti) e
inspiegabilmente tra il primo ed il secondo ad ognuno fu
chiesto di pagare il conto.
Come conseguenza di tutto ciò, l’entusiasmo iniziale si
sostituì l’indifferenza, ci furono delle defezioni tra i
soci, e anche sulle partecipazioni ai raduni all’estero si
notò una netta diminuzione, infatti mi capitò di essere in
alcune occasioni l’unico italiano presente.
Ricordo che nel 1987, in sella al mio Aspencade
1200 partecipai da solo al raduno tedesco di Bad Harzuburg,
località a pochi chilometri dal confine con la Germania
est; scortati dalle guardie di frontiera fummo portati in
gruppo al limite della terra di nessuno, da dove, grazie a
le torrette di osservazione, potevano vedere al di là dei
campi minati e dei reticolati, i vopos armati sino ai
denti che pattugliavano il confine con l’ausilio di cani
lupo e che sembravano turbati dalla vista di alcune
centinaia di Goldwings.
Il sabato fu organizzato un giro turistico molto lungo
attraverso la regione circostante, prevalentemente
collinare, con le moto suddivise per nazioni, precedute
dalle rispettive bandiere e sulla prima moto di ogni
gruppo nazionale veniva applicata sul parabrezza con degli
elastici una targa con il nome della nazione rappresentata
ed io, essendo solo, beccai la targa con scritto “Italien”.
Passando per i numerosi paesi lungo il percorso mi accorsi
che, anche per la presenza di molti immigrati di origine
italiana, la maggior parte dei saluti e degli applausi da
parte della folla ai bordi della strada erano per me e per
la bandiera italiana, e addirittura, italiani brava gente,
fui costretto a fermarmi da chi voleva offrirmi un gelato
e da chi voleva invitarmi a pranzo a casa.
Questo periodo non fu certamente uno dei più felici della
breve storia del club: venivano a galla le carenze
organizzative, l’entusiasmo ed il carisma di Gianni
Barbieri, decisivi nei primi anni, non erano più
sufficienti per gestire una realtà che stava assumendo
dimensioni importanti.
La crisi fu risolta con la rifondazione del Gold Wing Club
Italia avvenuta nel 1989 dopo un’assemblea tenutasi a
Bologna: tra i rifondatori, oltre a me e a Giorgio
Barbieri come soci più anziani, c’erano G.Maria Cappi e
Alessandro Olmi che assunsero l’incarico rispettivamente
di presidente e di segretario, cariche che mantennero per
molti anni.
Il resto è storia recente e conosciuta: i soci sono
aumentati in modo inaspettato, l’uscita del modello GL
1500/6 ha fatto si che gli estimatori della Goldwing
fossero in continuo aumento, ha preso piede il mito
metropolitano del “Goldwingers” è migliorata l’immagine
del club, si organizzano molti raduni a carattere locale
con buoni riscontri in termini di partecipazione, la
partecipazione italiana ai raduni all’estero è quasi
sempre assicurata su livelli dignitosi, ecc.
Tutto ciò è avvenuto progressivamente, non sono mancati
gli incidenti di percorso, le polemiche, i litigi, i
tentativi di secessione, fatto molto frequenti nelle
associazioni amatoriali che coinvolgono persone con gusti,
abitudini e cultura diversi, tuttavia unite da una
passione comune.

Ernesto Trazzi - Socio fondatore del GWCI - Gold
Wing Club Italia-l'unico club GW Italiano ufficialmente
riconosciuto dalla federazione europea (GWEF) |
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