Virna

by Mr. Winger

 

La notai il primo giorno che arrivai in Riviera, nella riviera ligure.

Mentre parcheggiavo “Louise”, la mia 1800 nero-argento, con molta attenzione tra le auto affiancatissime a spina di pesce, lei era là, appoggiata alla ringhiera della spiaggia sul lungomare.

Abbastanza alta, lunga coda di cavallo bionda, un due-pezzi bianco che spiccava sulla sua abbronzatura dorata. Era girata e non vedevo il suo viso. Magari, mi dissi, ha una faccia tutto il contrario di ciò che lascerebbe presagire il… resto, cioè il “disopra”… poderoso e fermo; in vita stringeva un asciugamano da mare, bianco anch’esso ma a fiori scarlatti, per cui potevo solo indovinare un disegno flessuoso e ben armonizzato.

D’istinto schiacciai il tasto dell’antifurto, dimenticando che avevo lasciato la sacca da mare nel baule posteriore.

Al bip lei si girò. Un flash improvviso mi abbagliò: due occhi azzurro intenso e un nasino alla francese mi fecero perdere immediatamente il mio innaturale aplomb. Urtai goffamente il manubrio di “Louise” che immediatamente emise un acutissimo urlo dalla sirena dell’antifurto.

Lei, impercettibilmente, filmò la scena con lo sguardo da sotto le sue lunghe sopracciglia e accennò un leggerissimo sorriso. Rimasi impietrito senza riuscire a staccare lo sguardo da lei. Poi ce ne andammo, ognuno per la sua strada.

Per quei tre giorni di vacanza avevo riservato la classica abbinata ombrellone+sdraio. Avevo deciso di prendermi una vacanzina e di farla prendere anche a “Louise”, dopo il nostro viaggio di 3.600 km in Francia fino alla Manica, compiuto in soli tre giorni per necessità organizzative.

 Ah, che bello il sole ligure in luglio! Mi rigirai sulla sdraio per arrostirmi meglio. Chiusi gli occhi e mi addormentai. Il brusio della spiaggia accompagnava gradevolmente il mio sonno leggero.

Ad un certo punto, senza ragione apparente, socchiusi gli occhi e fissai la silhouette davanti a me. In Liguria le sdraio sono molto vicine l’una all’altra a causa delle spiagge molto piccole, per cui è giocoforza invadere con la vista e con l’udito la privacy altrui. Aprì meglio gli occhi e vidi, senza stupore quasi me l’aspettassi talmente lo desideravo, LEI. Era seduta e mi dava la schiena. Era attorniata da tre ragazzine, probabilmente le sue sorelline.

Ebbi modo di osservarla meglio nel mio finto sonno. La sua bellezza era sconvolgente, le davo non più di 23… 25 anni. Io avrei potuto essere suo… zio. Ma che importa, ho sempre detto che per me l’amore è anzitutto un fatto platonico e cerebrale, finché… non cambia. Mah!

La giornata passò così: io, che dimenticavo sempre più spesso di andare a trovare “Louise” (mi ero ripromesso di farlo ogni ora!); LEI che si era accorta del mio interesse e che (mi sembrava ma non osavo sperarlo) dimostrava di non rifiutare il sottile gioco del “faccio-finta-di-non-accorgermi-che-mi-guardi-ma-tu-continua-a-farlo”.

A proposito di visite a “Louise”, che mi toccava prendere (non che mi dispiacesse) per recarmi a spiaggia perché il mio alberghetto era troppo lontano per andare a piedi: ho notato come la bellezza, sia di una donna, sia di una moto, incuta una sorta di rispetto, quasi che le persone non osino toccarle. Solo un grandissimo ignorante può non provare questo sentimento, ed è quello che temiamo sempre quando lasciamo la nostra moto incustodita.

L’indomani, prima di andare a spiaggia passai in edicola a comprare “Motociclismo”: da una parte mi interessava, dall’altra inconsciamente volevo ribadire, il giornale alla mano, che ero un motociclista magari “puro e duro”. Ma la mia mente era ormai tutta per lei. Io che, malgrado l’atteggiamento a volte un po’ baldanzoso in fondo sono un timido, non osavo rompere il ghiaccio. Volevo sapere il suo nome, almeno il suo nome, per poter… meglio sognare! Il fato mi venne incontro.

Stavo facendo finta di leggere e anche lei faceva finta di avere da fare sotto l’ombrellone, anzi che andare a fare il bagno. Ad un certo punto, una delle bambina la chiamò: Virna!

Che dolce nome… Virna. Lei si girò, le caddero gli occhiali da sole (bellissimi anche quelli, un po’ allungati a mo’ di fascia, con la montatura bianca) e mi precipitai a raccoglierli. Mi disse “Grazie” con un piccolo sorriso, al che le risposi “Prego Virna!” (non mi sembrava vero poterla chiamare per nome, con il giusto calore nella voce…). Non accennò sorpresa.

La giornata passò così, con quei piccoli accorgimenti utili a fare capire che si offre spazio all’altro, piccoli segni di accoglienza tipo parlare a voce più alta del necessario, avere dei modi simpatici nell’esprimersi, fare dei gesti un po’ plateali, insomma tutto quel gioco da me tanto atteso e che può essere il preludio di… chissà?

Nel tornare a casa, diedi una carezza a “Louise” sul faro, per dirle che i miei sentimenti nei suoi confronti non erano cambiati. E dalla vivacità della sua accelerazione capii che aveva gradito. “Louise, sarai sempre l’unica per me, non dubitarne mai” le dissi, superando la fila di macchine ferme al semaforo rosso.

La mia vacanza brevissima volgeva al termine, era il terzo giorno. Quella mattina Virna venne da sola al mare. Come si sedette sulla sdraio incominciammo subito a parlare. Lei era di Nembro, un paesino vicino a Bergamo, studiava lettere e filosofia (che facoltà adatta a lei, pensai!). Poi cominciai ovviamente a parlarle della mia moto, senza svelarle che si chiama “Louise” (a volte le donne sono gelose di un non-nulla ed è meglio non rischiare, potrebbe capire di aver una rivale… invincibile). Quand’ecco che leggo su Motociclismo del concorso “Fotografa la tua estate in moto”. Con fare indifferente, faccio vedere il concorso a Virna, sperando intimamente nel mio cuore che la cosa la interessi (una così bella ragazza non può restare insensibile a queste cose, penso). Ma lei tronca sul nascere la mia più piccola speranza con un “Oh, no, io in foto vengo malissimo, non sono per niente fotogenica!”.

Io ci avevo sperato e rimango malissimo, anche perché in fondo al cuore, sento una voce che mi dice “Virna è un soggetto fantastico, è il TUO soggetto fotografico”. Parlamento un po’: invano. Virna, evidentemente, si rende conto che una sua foto male riuscita non renderebbe giustizia alla sua bellezza. Sto per arrendermi. Improvvisamente, vincendo ogni remora, le dico ciò che sin dall’inizio sentivo fortemente: “Quando c’è feeling con il soggetto, non c’è foto che non riesca”. Virna evidentemente percepisce la mia sicurezza e.. accetta! Sono al settimo cielo. Ci organizziamo per il pomeriggio.

Alle tre Virna scende dalla scaletta della villetta in cui abita. È leggermente truccata, ha un abitino bianco leggerissimo e molto corto, che mette in risalto le sue gambe da… Wauw! Sul suo viso, il suo bel sorrino un po’ timido. Mi manca quasi il fiato: “Quant’è bella!!”.

Io, per l’occasione, anzi che mangiare a pranzo, ho pulito e lucidato tutti i cromi di “Louise”. Anche lei è di una bellezza da lasciare senza fiato. Di questo passo rimarrò asfissiato…

Virna sale in sella dietro di me. Devo fare uno sforzo per concentrarmi sulla guida.

Trovato un angolo in una delle classiche viuzze dei dintorni di Genova, accanto ad una vecchia scaletta e vicino ad un vaso di cactus mediterranei, mi fermo e manovro la mia perfetta compagna di viaggio (Louise) per creare lo scenario adatto.

Inizio a scattare foto. Il mio secondo amore assoluto che io chiamo “il prolungamento del mio occhio”, che è la mia macchina fotografica, scatta a raffica quasi da sola. La scena sembra un balletto a tre: Virna, che nell’assumere nuove pose, quasi danza con una grazia che non mi sorprende; “Louise” che ad ogni nuova posizione sembra assumere un’espressione diversa, adatta al nuovo quadxro; io che, immerso nel mio elemento e inebbriato dai miei sogni che si stanno realizzando, non ho neppur bisogno di riflettere per comporre le inquadrature.

Improvvisamente, ci accorgiamo che si è fatto buio, sono quasi le otto e Virna deve correre a casa. Io mi sento un po’ in colpa per averle fatto fare tardi. Ma il pensiero dominante che mi assale è che domani mattina, presto, devo partire.

Il ritorno lo facciamo mestamente; “Louise”, che ha capito la situazione, fa piano le fusa e si muove con una dolcezza perfettamente armonizzata con il nostri stati d’animo.

 

Eccoci davanti a casa di Virna. Sua mamma è alla finestra. LEI scende dalla moto, si volta appena e mi dice “Grazie!”. Grazie di che? chiedo a me-stesso. E scappa.

L’indomani mattina, alle otto ho già caricato “Louise”. Ho gli occhi stanchi perché ho letto fino a tardi e il mio pensiero ha sempre continuato a vagare verso Virna; scommetto che anche lei non ha dormito molto.

 

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Un mese dopo, mi trovo in ufficio. Sono le nove e mezzo ma non sono ancora pronto ad entrare nel vortice della giornata; decido di prendermi ancora una piccola pausa e tiro fuori dalla borsa porta-computer il mio giornale motociclistico preferito.

Lo sfoglio svogliatamente, perché avrei voglia di iniziare dall’inizio e leggerlo tutto. Lo apro a caso. Cado su una doppia pagina: sono i risultati del concorso fotografico di quest’estate. Cerco febbrilmente quali sono “Le più belle foto delle vostre vacanze”. Vedo una forcella che riconosco, con un parafango bicolore che riconosco. Alzo gli occhi lentamente e non provo alcuna sorpresa: accovacciata a terra e abbracciata teneramente alla forcella di Louise, il viso stupendo un po’ inclinato verso il parafango anteriore, appena velati dai lunghi capelli d’oro, c’è LEI, Virna, che mi guarda con i suoi grandi occhi azzurri al di sopra del suo piccolo nasino all’insù. Secondo premio! (Il primo è stato dato ad una foto in cui prevaleva il paesaggio).

Purtroppo non glielo potrò comunicare… non ci siamo scambiati i numeri.

Mr Winger